Vernissage mostra Atlante Umano Siciliano – Francesco Faraci
Largo Papa Giovanni XXIII, 1 - Trieste
giovedì 25 Ottobre 2018
17.00 - 18.30
Giovedì 25 ottobre, alle ore 17.00, presso il Civico Museo Sartorio, in Largo Papa Giovani XXIII, 1, a Trieste, avrà luogo l’inaugurazione della mostra Atlante Umano Siciliano di Francesco Faraci, che rimarrà aperta fino al 6 gennaio con i seguenti orari: da martedì a giovedì 10-13, venerdì-sabato 14-17, domenica 10-17, lunedì chiuso. Ingresso libero.
La mostra, ideata e realizzata dai Civici Musei di Storia ed Arte, con la direzione di Laura Carlini Fanfogna, direttrice del Servizio Musei e Biblioteche, in collaborazione con l’Associazione dotART e l’art director Angelo Cucchetto, presenta l’Atlante umano siciliano del fotografo Francesco Faraci, la selezione curata da Claudia Colecchia, responsabile della Fototeca e delle Biblioteche dei Civici Musei di Storia ed Arte in collaborazione con Lorenza Resciniti, conservatore del Museo Sartorio.
Dopo i saluti istituzionali, introdotto dalla direttrice dei Musei Civici Laura Carlini Fanfogna, la responsabile della Fototeca dei Civici Musei di Storia ed Arte Claudia Colecchia, dall’art director del festival Angelo Cucchetto, il fotografo interverrà all’inaugurazione della mostra e accompagnerà il pubblico in una visita guidata dell’esposizione.
Atlante.
Umano.
Siciliano.
Tre parole che insieme formano una frase, ma se messe in proprio ognuna di esse ha una sua identità precisa. Sicilia porta d’Europa, per qualcuno inizio di una nuova vita, punto d’approdo dalla vicina africa. Per altri, invece autoctoni è sguardo sul mondo, odora di radici.
Terra infima e meravigliosa dove nulla è mai come appare. Per contingenza, greca illusione.
Atlante è viaggio, ma non importa il come, bensì il dove e il perché. Percorrendo una geografia dell’anima, mediterranea, fatta di sensazioni, di percezioni che sgorgano dalla terra nuda dopo la mietitura. Il vento, il cielo, le correnti marine, il sole, la luna e il sale sulla pelle. Tutto concorre a tracciare su una cartina immaginaria i segni del passaggio del viandante, che nulla ha con sé se non le ossa, nudo e aperto com’è di fronte alla sorpresa, al fato, al destino.
Umano perché terreno. Perché l’uomo, in fondo, è al centro della ricerca. La sua condizione di “moderno” in una terra che fatica ad evolversi e che quando lo fa, o ci prova, cede ogni volta un pezzo della sua atavica identità.
Un lavoro sui contrasti, sugli opposti: vita/morte, caos/silenzio, gioia/tristezza, rassegnazione/riscatto.
Paesi ormai semi abbandonati, dove chi parte non fa più ritorno e l’età di mezzo è ormai un’utopia. Rimangono i vecchi, le pietre delle case dalle porte e dalle finestre sbarrate con la scritta “Vendesi”, che raccontano di ciò che si è stato e di cosa sarà nel prossimo futuro.
Dalla Sicilia si fugge, ma il territorio muore e nemmeno troppo lentamente. Si tratta di provare a salvare, a imprimere su carta quel che c’è. Il paradosso è che non mancano l’energia e nemmeno la poesia.
Nell’eterna lotta fra andare e restare ho scelto di resistere e raccontare la terra in cui vivo, in controtendenza forse con la fotografia esotica che fa dell’altrove, il più lontano possibile da noi, un vessillo. Eppure, aprendo le porte di casa, spalancando le finestre metaforiche di noi stessi, quindi aprendosi, il mondo accoglie, chiede di raccontarne la storia.
La vita, la morte, i sogni e le sconfitte.
Siciliano, dunque, per appartenenza non sempre fiera. Esserlo (siciliano) significa, oggi, mettersi in cammino, scavare a fondo nella terra sapendo che il mare, unico e definitivo confine, ha nella linea dell’orizzonte e nelle direzioni dei venti il suo unico limite.
Tre parole per dire di un luogo di frontiera, dunque. La ricerca di una piccola America. Ispirato da Robert Frank e dal suo “The Americans” mi sono messo in viaggio, ecco il senso di questo lavoro che implorava di venire fuori.
Francesco Faraci nasce a Palermo, in Sicilia, nel 1983. Dopo studi in Sociologia e antropologia scopre la fotografia come principale mezzo di espressione e inizia a girare l’isola, in lungo e in largo, alla ricerca di storie da raccontare.
Ha pubblicato con “The Guardian”, “Time Magazine”, “The Globe and Mail”, “La Repubblica”, “L’Espresso”, “Le Monde”, “Libération”, VICE, vari reportage incentrati sui temi della mafia e dei flussi migratori.
Smette di lavorare per i giornali e si dedica alla sua ricerca personale, che vede come caposaldo la ricerca di empatia con i soggetti e le storie raccontate, che mettono in luce contrasti, contraddizioni e poesia del Mediterraneo interrogandosi spesso su temi quali la memoria e l’identità, messa in relazione con la modernità liquida e ciò che ne consegue,.
Dopo tre anni di lavoro pubblica nel 2016 il suo primo libro “Malacarne-Kids come first”, A cura di Benedetta Donato e edito da Crowdbooks, un viaggio di tre anni dentro le estreme periferie della città viste attraverso i bambini. Riceve il secondo premio nella sezione libri fotografici al PX3 di Parigi e al MIFA di Mosca. Il libro è esposto ad Arles durante “Le Rencontres” e a Barcelona nell’ambito di Photobook Phenomenon al CCCB.
Alcune sue mostre sono state e sono allestite in giro per l’Italia. Attualmente è impegnato nel suo prossimo progetto a lungo termine.
www.francescofaraci.com