Nell'ambito di Trieste Photo Fringe, che racchiude gli eventi "fuori festival" di Trieste Photo Days, mostra collettiva con foto di Michele Vittori, Emanuele Dini e Serena Vittorini.
Progetti esposti:
"In Deep Water" di Alessandro Ciccarelli
Dall'arresto volontario o involontario delle attività cerebrali coscienti, in altre parole da un'apnea, emergono le immagini della serie In Deep Water. Il riferimento è a un processo istintivo incontrollato, a quella produzione di elementi visivi grezzi, irrazionali che si susseguono di continuo davanti agli occhi e, nella costante necessità di logica, per lo più ignorati.
Dissolvendosi e assolvendosi dal dovere di raccontare la realtà a partire dalle sue evidenze estetiche spettacolari, In deep water lavora sul suo contrario: alla ricerca di fantasmi, aloni, scarti amorfi, residui di coscienza, vario materiale fantastico latente, diurno e notturno.
A contatto con la sua stessa fugacità, l'immagine funzionale si decompone e si mette a seguire impunemente il collegamento a un istante. Così diventa l'immagine che sfugge e perde il centro dell'obiettivo: è quella che appare per un attimo soltanto alla coda dell'occhio, irrazionale. Come un metafisico coniglio bianco che scompare in un tunnel, così sono questi scatti/frammenti di un (non c'è) tempo infinitesimale, espressi nella loro nuda apparizione.
Scendere a dragare i fondali del visivo, agganciare sedimenti di terrori, la sensazione del vuoto, la dimensione enigmatica impossibile da decodificare: allora la fotografia di In Deep Water (oltre che una serie, potrebbe essere un metodo) diventa la forma del diniego e della rimozione dei nostri incubi.
Pure se rappresentati come fatto onirico naturale, non connotato, in apparenza neutrale, (stiamo parlando di impulsi elettrici che corrono/ricorrono tra conscio e inconscio, e che finiscono contenuti in segni), i sogni fungono da traccia subliminale di un abisso, senza fornire né soluzioni né sintesi ed è ciò a renderli spaventosi. Da questa prospettiva, che è quasi un dormiveglia, ci si rende conto che esistono miriadi di testimonianze di ciò che è esposto e tangibile, molte meno di questo regno così caduco da essere quasi inesistente. Il regno di un'astrazione ostile, carica di segni, simboli e significati carsici, ma anche soltanto di sensazioni difficili da esplorare.
Non a caso, osservando le fotografie in sequenza veloce, il richiamo è a uno stato di semi incoscienza, o ai momenti chiamati: "mi è passata tutta la vita davanti".
Non è mai vero questo. La vita ci passa davanti di continuo in questa forma acerba e tuttavia ipersignificativa.
In Deep Water è la sensazione di mortalità da cui distogliamo lo sguardo.
È l'incontro sempre procrastinato con i territori più inospitali della mente.
È “un segreto vicino ad un altro segreto” (Diane Arbus).
Giusi Palomba
"In Between - Istanti dalla terra di mezzo" di Monia De Lauretis
balconi e finestre, terre di mezzo urbane
sospese fra pubblico e privato, fra cielo e terra,
fra il pigro osservare e la pigra convinzione di non essere osservati.
ritratti senza maschera di presuntuosi semi-dei a mezz'aria,
sfatti, composti, attenti, distratti, assenti, invadenti, vaghi, precisi,
sospettosi o interrogativi.
10 frazioni di secondo di un limbo violato da una camera invisibile.
Monia De Lauretis si è sempre dedicata a più forme d'arte, dalla pittura alla scrittura, scultura, illustrazione, fotografia, teatro/recitazione, musica (sia come musicista che come giornalista), e a varie forme ibride. Negli ultimi anni ha ripreso più approfonditamente il percorso fotografico, connotato (anche nella street) dall'interesse per gli aspetti umani più nascosti, bizzarri, grotteschi, primitivi e spesso inconfessabili.
"Lightning Hunter" di Antonio Busqueta Mendoza (Messico)
Un progetto sulla meraviglia e la potenza dei fulmini.
"Sulla mia strada" di Davide Mandolini
Una serie di incontri con personaggi, luoghi e città differenti.
C’è qualcosa in loro, nei protagonisti delle mie foto, che mi affascinava, il mio occhio veniva attratto dalla loro presenza.
Come un rasoio di Occam immaginario, il mio occhio ha selezionato in mezzo a tante figure quelle che più mi intrigavano.
Non c’è un vero filo conduttore per spiegare queste fotografie, non si tratta di un racconto in serie, tantomeno di una sequenza di scatti collegati da un luogo o da una comune caratteristica.
Sono i miei incontri, il mio modo di raccontare la mia strada, quello che mi trovo davanti e che mi piace fermare per sempre nel mio cassetto dei ricordi.
Ormai siamo così distratti dal caos delle città che ci capita raramente di soffermarci a guardare chi abbiamo davanti e come si muove nella città.
Questo per me è stata una spinta in più per osservare, per trovare il mio spazio in mezzo ad ambienti a me poco conosciuti.
Biografia Artistica: Mi chiamo Davide Mandolini ho 22 anni e sono nato a Grosseto, attualmente vivo a Firenze dove porto avanti gli studi universitari e la passione per la fotografia. Ho iniziato il mio percorso con la street photography appena arrivato a Firenze poi ho cercato di sperimentare anche forme di reportage o di fotografia documentaria che sono le categorie al quale mi sento più vicino. Ho avuto il piacere di realizzare alcune mostre fotografiche personali ed alcune collettive, sono stato vincitore del bando FUORI2016 ed ho frequentato il corso di fotogiornalismo della Fondazione Studio Marangoni di Firenze dove sono stato seguito dal collettivo fotografico TerraProject.
"Parigi Amsterdam" di Stefano Caccia
Gli spazi , l'acqua , i riflessi, le luci. L'occhio si fa colpire dalle immagini forti ed immobili delle architetture ma è poi l'anima che conduce lo sguardo verso ciò che l'attrae più profondamente: la vita. Non solo Notre Dame, tour Eiffel, ponti storici e Canalhouses, ma anche il gioco delle bocce, la street dance ed "i mille volti dei canali".